giovedì 18 novembre 2010

[Io c'ero] Interpol + Surfer Blood @ Palasharp Milano

Sono le 19.30 quando la Sbart ed io varchiamo i cancelli del Palasharp, attraversiamo con calma irreale il lungo corridoio formato dalle bancarelle di panini e merchandising (ci sono anche i bavaglini col logo Interpol) e ci dirigiamo emozionate ma sicure verso l'ingresso. All'interno il Palasharp è ancora semivuoto e sono a lungo tentata di restare in piedi a ridosso di quelli che hanno guadagnato i posti migliori proprio sotto al palco, ma poi mi dico che non ho più l'età e propongo alla Sbart le tribunette laterali. Dalla nostra comoda postazione guardiamo il palazzetto che si riempie e facciamo un po' di studi sociologici: pubblico piacevolmente eterogeneo, età media sui 25-30 anni, più maschi che femmine, qualche coppia abbondantemente sopra i 30, addirittura qualche genitore che è venuto ad accompagnare il figlio e siede in tribuna tentando di darsi un contegno magari leggendo un libro.


John Paul Pitts, cantante e chitarrista dei Surfer Blood

Alle 20.30 in punto i Surfer Blood salgono ed attaccano in fretta con Fast Jabroni. In 45 minuti scarsi eseguono un po' tutto il loro repertorio davanti ad un pubblico distratto ma che non li fischia mai. Sarà che mi ero preparata e conoscevo le loro canzoni, sarà che son giovanissimi e mi fanno tenerezza sul quel palco troppo grande per loro, sarà che assomigliano ad almeno tre gruppi che amo (Pavement, Vampire Weekend, Weezer), ma io mi sono divertita e li ho apprezzati.
Qualche minuto di pausa - in cui ci raggiunge per salutarci il collega blogger Rykjvk - e poi eccoli i nostri, tanto attesi, per la loro unica data italiana. In look total black e avvolti dai fumogeni salgono tutti insieme sul palco e aprono il concerto con la prima traccia dal loro ultimo album, Success, al termine della quale un Paul Banks particolarmente cordiale dice il primo "grazie" in italiano della serata. Si inizia a far sul serio con Say Hello to the Angels, vecchio singolo da Turn on the bright lights. Da qui si alternano in maniera regolare brani vecchi e nuovi (qui la setlist del concerto), e così alla fine un po' tutti possono dirsi soddisfatti. Non ci sono Leif Erikson e Obstacle 1, è vero, ma c'è la mia preferita in assoluto, Take you on a cruise, in un'esecuzione molto sentita, e Rest my chemistry, per me il miglior brano da Our love to admire.


Paul Banks

Nella seconda metà del concerto sia il pubblico che il gruppo si sono scaldati al punto giusto: un babbo batte il tempo con la testa e applaude, la mamma disperata col libro ha socializzato con altri genitori davanti a lei e sembra quasi di sentirli dire che "via, non sono niente male questi qua". Alla fine di Barricade Banks chiede "This was Barricade. Come si dice in italiano? Non lo so". Poi indica qualcuno della prima fila e ringrazia per il suggerimento.
Alla fine solo tre bis. Daniel, Paul, Dave Pajo e Sam rientrano sul palco uno dopo l'altro per un'inaspettata e struggente The lighthouse, poi gran finale tutti in piedi a saltare e battere le mani al ritmo di Evil (Yes, fuckin' right! - dice alla fine compiaciuto Paul) e The Heinrich Maneuver. Professionali ed eleganti, distanti ma gentili, tecnicamente impeccabili come non avrei creduto.



Daniel Kessler

"Ora posso anche morire in pace", dico alla Sbart mentre lasciamo il Palasharp. Ma non è vero: il 3 marzo li vedrò ancora una volta, al Docks di Amburgo.

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